A cura della Dottoressa Tilde Annunziato – Psicologa
La timidezza è un tratto/un aspetto normale della personalità, che riguarda la maggior parte delle persone, in tutti i Paesi del mondo. E’ una caratteristica della personalità che dipende dal temperamento e dal tipo di esperienze che la persona ha vissuto. La persona timida ha difficoltà in diversi contesti sociali, fa fatica a iniziare una conversazione, non si trova a suo agio a parlare di se stesso o a essere al centro dell’attenzione. Per tale ragione, spesso la timidezza viene associata alla fobia sociale, cioè ad una vera e propria psicopatologia che riguarda le persone che soffrono di ansia cronica quando si trovano ad interagire in una o più situazioni sociali. Siamo abituati a considerare la timidezza come un problema da risolvere, come una caratteristica personale da modificare perché la nostra società ci impone, nella maggior parte dei casi, modelli forti, spavaldi e sicuri; la timidezza viene concepita come un “deficit” e chi è timido come qualcuno da “guarire”. Tuttavia la timidezza non va considerata come una patologia. Basti pensare che in una cultura completamente differente dalla nostra per tradizioni, costumi, e valori, come quella giapponese, si ritiene che la timidezza sia un pregio e che vada apprezzata e coltivata.
Siamo proprio sicuri che la timidezza sia un difetto?
A tal proposito, lo storico inglese Moran dice che: “La timidezza, in tempi nei quali non ci si vergogna di nulla, è rivoluzionaria!”. È importante accettare il fatto di essere timidi, capire le dinamiche della propria timidezza e non pretendere di modificare ciò che si è, negando la propria natura, ma al contrario valorizzandola. Valorizzando, quindi, la tendenza all’introversione come sensibilità introspettiva e la difficoltà a relazionarsi come capacità di stabilire contatti intimi e profondi, sebbene meno abbondanti rispetto agli estroversi.
Invece qual è la differenza tra timidezza e ansia sociale/fobia sociale?
La timidezza e l’ansia sociale (o fobia sociale) sono due condizioni di “discomfort sociale” che condividono l’imbarazzo e la vergogna come emozioni principali. È importante tenere presente che, nonostante molte similarità, vi sono delle differenze rilevanti. Si tratta di costrutti differenti pur collocabili entrambi lungo un continuum di intensità crescente. Proprio per tale ragione, non risultano sempre immediatamente distinguibili. Quando l’intensa preoccupazione relativa a una o più situazioni sociali genera un impatto significativamente negativo in ambito sociale, lavorativo e in altre aree importanti, potrebbe trattarsi di ansia sociale. L’ansia sociale è un disturbo d’ansia caratterizzato da una costante e sproporzionata paura relativa alle situazioni sociali nelle quali l’individuo sente di essere esposto al giudizio dell’altro. Tale intenso malessere psicofisico costringe l’individuo a evitare le situazioni temute per la paura di essere giudicato come inadeguato. La sua caratteristica principale, di fatti, è la paura di essere criticati dagli altri durante situazioni, azioni o compiti di vario genere (come incontrare persone sconosciute, eseguire una prestazione di fronte agli altri, prendere la parola durante una riunione, parlare in pubblico, essere osservati mentre si mangia o beve). Tale timore si autoalimenta generando una sorta di circolo vizioso in cui la persona per paura che gli altri scoprano le sue preoccupazioni o sintomi (come tremore, rossori, sudorazione, bocca secca), arriva al punto di avere paura della paura stessa, sviluppando un’ansia anticipatoria che lo costringe a comportamenti di evitamento.
La tua ansia di cosa parla?
Il malessere di cui “parla” l’ansia ha a che fare con il presente, ma anche con il proprio passato. Poter esprimere il proprio vissuto in uno spazio di ascolto, dare senso a ciò che sta accadendo, pensare ai propri sintomi come un segnale d’aiuto può essere un punto di partenza per decifrare il linguaggio dell’ansia, particolarmente angosciante ed apparentemente privo di motivazioni comprensibili.